Note

[1] Ma con questo nome in antico erano anche indicati anche i mulini all’inizio della gola per S. Romedio. E ciò dovrebbe forse risolvere per sempre l’annosa questione…

[2] Non consta che altri luoghi o altre chiese in Val di Non abbiamo mai reclamato per sé questo titolo.

[3] Le citazioni di queste due lettere sono tratte da Sironi Enrico M., Dall’Oriente in Occidente: i santi Sisinio, Martirio e Alessandro martiri in Anaunia, Sanzeno 1989, Edizioni della Basilica, pp. 78-113. Per semplicità abbreviamo Lettera a Giovanni Crisostomo con Crisostomo, e Lettera a Simpliciano con Simpliciano, seguiti dal numero di pagina.

[4] Si possono trovare tutte queste fonti, in latino e in traduzione italiana, in Sironi, Dall’Oriente in Occidente, o.c., pp. 181-186.

[5] I passi che riguardano le vicende dei Martiri sono riportati anch’essi, sia in latino che tradotti in italiano, in Sironi, Dall’Oriente in Occidente, o.c., pp. 179-180. Alla lista di queste importantissime testimonianze aggiungiamo solo che del martirio di Sisinio, Martirio e Alessandro, annotato al 29 maggio, parla anche il più antico martirologio cristiano, il Geronimiano (metà del V sec.).

[6] Forse si potrebbe tradurre quel vel latino con “cappadoce, ma di famiglia greca”.

[7] Testo in Sironi, Dall’Oriente in Occidente, o.c., pp. 187-189.

[8] PL 16,982 ss.

[9] Tracce iconografiche di questa tradizione sarebbero riscontrabili negli affreschi trecenteschi della chiesa di S. Vigilio al Virgolo (Bolzano), dove i tre cappadoci sarebbero rappresentati accanto a Vigilio durante il suo apostolato (almeno nell’affresco con la scena di esorcismo).

[10] Testo in Sironi, Dall’Oriente in Occidente, o.c., p. 180.

[11] «Quell’allevatore venuto da fuori proseguiva sempre, insieme con la dote, un vero affetto di madre, intendendo manifestare visibilmente con esempi viventi la resurrezione che aveva proclamato»: così traduce Pizzolato Luigi F., Studi su Vigilio di Trento (Studia Patristica Mediolanensia 23), Vita e Pensiero, Milano 2002, p. 149. Cf. ivi, p. 177: «Nutritor. È qui un termine tecnico che indica colui che alleva il piccolo esposto». Notiamo che dal testo latino in questione, e di conseguenza nella traduzione, alcuni autori espungono la parola «cum dote», di effettiva difficile traduzione, se non nel senso di cui sopra: Rogger Igino, I Martiri Anauniensi nella Cattedrale di Trento, Trento 1966, p. 18, n. 1: «Questo capoverso è forse il tratto più oscuro dei due scritti vigiliani. La traduzione è congetturale». Così anche Menestò Enrico, Le lettere di S. Vigilio, in I martiri della Val di Non e la reazione pagana alla fine del IV secolo (Atti del convegno tenuto a Trento il 27-28 marzo 1984) (Pubblicazioni dell’Istituto di Scienze Religiose in Trento 9), EDB, Bologna 1985, p. 160.

[12] Anche l’antico storico della letteratura latina cristiana Gennadio di Marsiglia, che verso il 480 d.C. scrisse la continuazione del De viris illustribus di S. Girolamo, attribuisce a Vigilio la stesura di «epistolam et libellum in laudem Martyrum», con un’espressione che forse coglie la differenza di genere letterario delle due lettere.

[13] Forse a qualcuno sembrerà poco politically correct, ma la vittoria sul Barbarossa fu sin dall’inizio attribuita a… tre extracomunitari.

[14] Due omelie (PL 63,467-478) di Giovanni Crisostomo narrano dell’arrivo e della solenne accoglienza di reliquie giunte da Occidente a Costantinopoli, ma purtroppo senza far nomi. Se anche non fossero state proclamate dal Crisostomo proprio per i nostri tre martiri, ci lasciano comunque immaginare quale ne sarebbe stato eventualmente il tenore.

[15] Il sermone, conosciuto come Tractatus 17, venne tenuto da S. Gaudenzio nell’occasione della consacrazione della chiesa “Concilium Sanctorum” (tra il 400 e il 402; la chiesa venne distrutta dagli Unni nel 452 e al suo posto venne edificata l’attuale chiesa dedicata a S. Giovanni). Il santo vescovo bresciano era in contatto sia con l’Oriente (si era recato persino in Cappadocia in cerca di reliquie!) che, naturalmente, con la chiesa di Milano, da cui addirittura, secondo alcuni studiosi, avrebbe ricevuto in dono assieme alle reliquie dei martiri milanesi Gervasio, Protasio e Nazario, quelle dei Santi Martiri Anauniensi. Anche il comune di Brescia avrebbe poi avuta la sua bella intercessione dei Santi Martiri nella battaglia di Rudiano (1191), combattuta e vinta contro la coalizione di Cremona e Bergamo. In un cantico popolare, infatti, vi si canterebbe di una colomba bianca apparsa sul campo di battaglia, quasi a ripresa dell’episodio di Legnano.

[16] Testo in Sironi, Dall’Oriente in Occidente, o.c., pp. 186-187.

[17] Forse anche le chiese da antica data dedicate al martire Alessandro in diocesi di Brescia e di Bergamo, si riferivano al “nostro” Alessandro.

[18] Un affresco cinquecentesco, ultimamente scoperto durante il restauro della parrocchiale di Dres, rappresenta proprio i santi Romedio, Sisinio, Martirio e Alessandro, abbigliati da pellegrini “giacobei” (con conchiglia, cappello a larghe falde e bisaccia da viaggio a spalle), in cammino uno dietro all’altro. S. Romedio e i Tre Martiri sono significativamente raffigurati assieme anche: nell’affresco del capitello di Sanzeno (1694), in un ex voto conservato al santuario di s. Romedio (1722), e nell’arco trionfale situato al principio della gradinata esterna dello stesso santuario, in pendant con S. Romedio e i suoi due compagni (1770). Senza dimenticare il portale che al santuario di S. Romedio immette nella cappella di S. Vigilio, dove architrave (scolpito con altorilievi raffiguranti tre volti, nei quali è persino doveroso individuare i tre martiri cappadoci) e colonnine sarebbero stati recuperati tra il XII e l’inizio del XIII secolo dall’antica chiesa di Sanzeno dedicata ai Santi Martiri.