Basilica Santi Martiri «Per dovere di profonda venerazione mi sono proposto di far costruire una spaziosa basilica sul luogo dove meritarono di testimoniare per primi la fede gloriosa…». Con queste parole, S. Vigilio terminava la lettera che accompagnava il dono di alcune reliquie dei santi Martiri Sisinio, Martirio ed Alessandro, indirizzata a S. Simpliciano, maestro e successore di S. Ambrogio sulla cattedra milanese (Simpliciano 19).

Purtroppo non sappiamo con certezza se e come Vigilio diede seguito a questo suo santo proposito, di edificare una “basilica”, e cioè una “memoria martyrum” (nella stessa terminologia distinta da “ecclesia”, chiesa, che è invece l’edificio di preghiera della comunità che a suo tempo costruirono in loco i tre missionari provenienti dalla Cappadocia: cf. Crisostomo 97). In qualche modo ciò è nell’ordine delle cose, ed è perciò probabile, ma un’indagine archeologica da questo punto di vista deve ancora essere accuratamente fatta[1].

Quello su cui siamo sicuri è che una chiesa romanica certamente esisteva prima di quella attuale: in questo caso i reperti e le prove storiche esistono e persino abbondanti. E che “su” questa chiesa ne venne edificata un’altra, imponente, di stile gotico-rinascimentale…

La prima menzione storica della chiesa di Sanzeno risale solo al 1211 (codice Wanghiano), e il primo pievano di cui si abbia memoria è tale Nicolò, nominato nel 1272 dal vescovo Egnone quale arciprete per le pievi di Smarano, Coredo, Dambel, Sarnonico, Fondo, Castelfondo, Arsio e Cloz. Nel governo della pieve era coadiuvato da altri sacerdoti e chierici, significativamente detti “confratres”, e conducenti vita comune nella casa canonica, quasi a memoria dello stile di vita dei tre Martiri[2].

colonna Basilica dei Santi Martiri

Dopo la scoperta, avvenuta il 25 maggio del 1472, sotto l’altare dell’antica chiesa, della cassa di legno contenente la cenere e il terriccio raccolti sul luogo del sacrificio dei Martiri, il principe vescovo Giovanni Hinderbach (†1486) concepì il disegno di erigere, al posto del precedente, un tempio che meglio riflettesse la gloria di questi santi, e insieme corrispondesse alle necessità della pieve che andava aumentando di popolazione, e anche di tutta la valle, i cui abitanti, in certe occasioni, convenivano numerosi in questo santo luogo. A tal scopo chiamò a Sanzeno maestranze veneto-lombarde.
Verso il 1480 si diede principio alla fabbrica dell’attuale basilica, usufruendo in parte dei muri perimetrali della precedente chiesa. Morto l’Hinderbach, essa venne continuata dal successore Udalrico de Frundsberg (†1493), e completata nel 1542 con il rivestimento in pietra della maestosa facciata al tempo del principe vescovo Cristoforo Madruzzo (†1567).


L’esterno

La facciata della basilica è divisa in tre campi, corrispondenti alle tre navate interne: il campo di mezzo è ornato da un grande rosone. Esso è opera dell’architetto Giacomo Mookadoha, di cui nel timpano è conservata memoria (1452).

Particolare facciata Basilica dei Santi MartiriIl portale, secondo un gusto diffuso nel ‘400-‘500, ha impianto romanico nella strombatura, con colonnine rotonde o scanalate a spirale, con graziosi capitelli del gotico fiorito veneziano, e mensole rinascimentali atte a sorreggere l’architrave romanico intagliato a viticci e fiorami e una mano benedicente alla latina in mezzo, probabile recupero della precedente chiesa, e simbolo di Cristo-vite[3]. Nella lunetta sono raffigurati a fresco la Madonna e i tre Martiri (pittore trentino, secolo XVIII). Sopra il portale gli stemmi dei vescovi Hinderbach (a destra per l’osservatore) e Frundsberg (a sinistra).
Portale Basilica dei Santi MartiriLe porte sono rivestite in bronzo, ad opera dell’artista Livio Conti, donate in occasione del XVI° centenario del martirio (1997). L’opera rappresenta in maniera sintetica la vicenda dei tre missionari cappadoci, raffigurati al centro del portone e riconoscibili dai loro “emblemi” iconografici: il calice per il diacono Sisinio, il libro per il lettore Martirio e la chiave per l’ostiario Alessandro. Sul portale sono rappresentati anche altri simboli della storia dei Martiri: alcuni vescovi occidentali ed orientali, il rogo che avvolge i tre Cappadoci, le tre colombe (della famosa battaglia di Legnano ma anche simbolo della Trinità), i fiori ai piedi dei Martiri (ricordo del giardino in cui venne catturato Martirio, ma anche anticipazione del giardino del paradiso), l’Annunciazione.

Tra le colonnine del portale, così come sulle colonne interne, con un po’ di attenzione si possono ancora scorgere antiche frasi e firme che i pellegrini lasciavano per devozione sui muri della basilica, di cui alcune sono datate al XVI secolo. Segno che “sporcare i muri” era sport già allora conosciuto …

Le pareti esterne sono interrotte da robusti contrafforti quadrangolari di pietra che salgono a contrastare la spinta delle volte.
Particolare Basilica dei Santi MartiriNell’angolo sud-est, si alza il campanile dell’antica chiesa in stile romanico con trifore ad arco, nella cui mole si riconoscono pietre anteriori al mille, e perfino frammenti di cippi romani o colonnine di fattura longobarda, fino a qualche tempo fa murate nella fusoliera che guarda a ponente e ora sistemate nella cappella dei Martiri. Anche sulla base del campanile il Brizi nel 1922 scoperse resti di affreschi antichissimi, ora purtroppo scomparsi. Fu fortificato alla base con un robusto barbacane di pietra nel 1757, perché minacciava rovina. La sua campana più antica ancora in funzione è la cosiddetta Concina (dal nome degli offerenti), fusa nel 1524 da Francesco Lamniger.

A sinistra dell’entrata laterale, sporge l’attuale sacrestia. All’esterno di questa e dell’abside alcuni scavi, in parte ancora visibili, hanno messo in luce fondazioni della chiesa antica.

L’interno

Entrati dal bel portone che, lo ricordiamo, è simbolo di Cristo-porta[4], l’unica dalle quale possiamo passare per accedere alla vita vera, entriamo ormai in basilica. L’architettura sobria e robusta all’esterno, è esaltata all’interno in volumi e spazi gotico-rinascimentali assai luminosi e ritmici nelle volte reticolate e a crociera, nel chiaro degli archi acuti, nella fioritura dei plinti e capitelli, nella fenestrazione abbondante, anche se in seguito non del tutto rispettata.
Misura 46 metri di lunghezza, 14,50 di larghezza, 13,45 di altezza; è a tre navate con quattro colonne per parte, sorrette da altissimi piedritti e terminanti con capitelli di raffinata esecuzione, ornati con fregi, volti animali e umani e anche un simpatico e inquietante “mascherone” che fa da peduccio (nella navata destra, all’incrocio tra il transetto e l’abside, alla base destra dell’arco trionfale), dai quali si sviluppa un intreccio di snelle nervature.
È probabilmente opera di maestranze lombarde, che negli archi a sesto acuto, nelle volte a costoloni, nelle finestre a ogiva, nei capitelli a fogliame esprimono evidenti motivi gotici, unendovi tuttavia elementi decorativi rinascimentali. Il tutto in pietra chiara lavorata con grande cura. Il senso di elevazione verso l’alto, quasi l’invito a “guardare il cielo”, rispondeva esattamente ad un intento spirituale.

Soffermandosi all’entrata della basilica, ad un occhio attento non sfuggirà né il fatto che il pavimento è in salita verso l’abside né che quest’ultima è evidentemente “storta”, chinata com’è verso la sinistra dell’osservatore, sensazione accentuata dal fatto che le stesse colonne di sinistra e di destra non sono più di tanto in asse tra di loro. Non avendo nessun appiglio documentaristico per spiegare queste anomalie, possiamo osare di farne una lettura spirituale “cruciforme”, suggerita in sé già dalla pianta a croce latina, a cui si aggiungerebbero il presbiterio, che richiamerebbe il capo reclinato di Cristo in croce, e la “salita” (al Calvario, ecc.).

Appena entrati, sulla sinistra si scorge un baldacchino marmoreo policromo del 1897, opera dello scultore Giuseppe Deanesi. Dal 1933 incornicia l’affresco del pittore Carlo Bonacina (la scena del primo pagano ananune convertito e battezzato dai tre Martiri; fino a qualche decennio fa, qui si trovava il fonte battesimale), ma in origine era in presbiterio, a sinistra, dove era posta l’urna marmorea racchiudente le ceneri del rogo, e dove l’artista Pietro Sigismondo Nardi dipinse a smalto, con imitazione di mosaico, una glorificazione dei Martiri.

Interno Basilica dei Santi Martiri Sanzeno

A destra si trova l’altare ligneo della Madonna Addolorata, con pala del battesimo di Gesù, opera di Fortunato da Brez (1744). È stato costruito nel 1738 dallo scultore Vigilio Prati di Cles (lo stesso che fece nel 1707 gli armadi della sacrestia). Nel 1860 lo scultore Leonardo Gaggia di Cusano (MI) scolpì la statua della Madonna Addolorata. Ai lati le statue dei santi Ignazio di Loyola e Luigi Gonzaga (o S. Carlo Borromeo).

Sempre a destra, procedendo verso il presbiterio, si trova anche l’altare, questa volta marmoreo, di nostra Signora del S. Cuore, invocata anche come Madre dell’unità. La statua era nella chiesa di Caldano, e venne qui trasportata nel 1870.

Le vetrate che chiudono i finestroni, della fabbrica Neuhauser di Innsbruck, furono donate nel 1897 (XV° centenario del martirio), dalle famiglie nobili della Pieve: Concin de Concini, de Gentili, de Ziller, de Betta, de Manincor e Tavonat da Tavon, di cui riportano i rispettivi stemmi araldici. Solo le vetrate dell’ultima finestra nella navata di sinistra, raffiguranti S. Ambrogio e S. Vigilio, sono recenti, messe in opera dopo che da qui fu rimosso l’altare di S. Stefano, che fino a qualche decennio fa oscurava la stessa finestra.

Altri altari (la pala di uno di essi, di S. Stefano, è visibile in sacrestia) e il pulpito ligneo che era addossato all’ultima colonna di sinistra, vennero rimossi nel secolo scorso.



Il transetto

TransettoGiunti nella zona cosiddetta del transetto, ci si può fare un’approssimativa idea dell’orientazione e delle dimensioni della chiesa medievale. Si notino, infatti, sia sopra l’attuale sacrestia che sopra la cappella dei Martiri, i due archi a tutto sesto, di epoca romanica. Possiamo perciò pensare che questa chiesa, come era allora d’uso, fosse orientata avendo l’abside a est, lì dove sorge il sole, immagine di Cristo[5], e la facciata a ovest.

Altare Basilica dei Santi MartiriAl centro del transetto, su una pedana di legno, si trova il nuovo altare, donato alla Basilica dall’amministrazione comunale di Sanzeno in occasione del XVI° centenario del martirio (1979), e ideato dal p. Enrico Sironi, barnabita, a quel tempo parroco e rettore della Basilica. L’altare è in legno, con inseriti davanti e dietro due bassorilievi in bronzo fuso, rappresentanti sul davanti i tre martiri con a lato S. Ambrogio e S. Vigilio, e nel retro i santi Agostino, Giovanni Crisostomo, Gaudenzio di Brescia, Simpliciano di Milano e Massimo di Torino. Accanto all’altare c’è la croce astile con i tre Martiri, in bronzo, opera di Livio Conta (1987).

Giunti ormai di fronte al presbiterio, sono degni di menzione ancora i due altari dei primi decenni del ‘700, in legno dipinto e dorato, dedicati rispettivamente alla Madonna con S. Vigilio, i Tre Martiri, S. Massenza e il vescovo Carlo Gaudenzio Madruzzo (a destra, attribuito al pittore Martin Teofilo Polacco, 1611), e all’adorazione dei Magi (a sinistra, 1602). Dalla parte di quest’ultimo altare, si apre anche la porta, del XVI secolo, sormontata dal monogramma di Cristo, che immette nell’attuale sacrestia.

Il presbiterio e l’abside

L’abside ottagonale (in origine rotonda), opera del meranese Giorgio Erber (1475), racchiude il presbiterio, a cui si accede per una gradinata di pietra eseguita da Carlo Melchiori nel 1750 (oggi ricoperta dalla piattaforma lignea che fa da supporto all’attuale altare rivolto verso il popolo), è delimitato dalla balaustra, opera dello scultore di origine bresciano Andrea Filippini.

L’altare maggiore di stile barocco, costruito nel 1771 dallo scultore Domenico Taliani da Rezzato (BS), venne donato dai nobili fratelli Francesco, Antonio e Giovanni Michele de Gentili de Worz, che sostennero la spesa di 3000 fiorini. Nel 1770, la loro casa a Sanzeno fu il luogo in cui furono portati i marmi, a dorso di mulo raccontano le cronache, e in cui furono realizzate le varie parti dell’altare, che fu assemblato e collocato l’anno successivo in basilica. Suggestivo l’apparato iconografico che contorna il tabernacolo: gli angeli adoranti, l’Agnello posto sul Libro e, soprattutto, il “pio pellicano” che si strappa la carne dal corpo per sfamare i suoi piccoli, immagine eucaristica per eccellenza. Di particolare interesse è l’elegante antipendio della mensa, su marmi policromi, riproducente in intarsio marmoreo gli ultimi momenti della vicenda del martirio di Sisinio, Martirio e Alessandro.

Le statue settecentesche ai lati, di gesso patinato, rappresentanti a sinistra S. Romedio (o, secondo altri, S. Vincenzo de Paoli o S. Francesco di Paola) e a destra S. Pio V, sono dono del convento dei Frati Minori di Cles.

Questo altare barocco sostituisce probabilmente almeno altri due altari antichi. Del primo, nello stile dei Flügelaltar tedeschi, abbiamo memoria perché si sono conservati fino ai noi quattro portelle lignee lavorate a rilievo e dipinte, rappresentanti episodi della vita dei tre Martiri, opera di un ignoto artista d’Oltralpe del primo decennio del ‘500[6]. Del secondo, sempre ligneo ad opera di Simone Lehner da Osanna (1640), ci è rimasta invece solo la pala d’altare, ora posizionata sulla parete destra, rappresentante l’adorazione dei Magi (altri “tre” famosi personaggi, come tre erano i santi Martiri), fatta eseguire dalla nobile famiglia Tavonat da Tavon, che si è fatta raffigurare al completo ai piedi della tavola. Probabile autore ne è il tedesco Paul Honecker.

Dietro all’altare c’è ancora l’edicola marmorea che incorniciava fino al 1897 l’urna dei Martiri (che in seguito “traslocherà” dov’è attualmente l’affresco del Nardi e, infine, nel 1927 nell’attuale cappella Ss. Martiri).

Presbiterio Basilica dei Santi MaritiriMa, soprattutto, dietro l’altare, contornata da una grande cornice di marmo modellata a panneggio, vi è la pala (m. 2.10 x 1.20) del celebre pittore Giambattista Lampi da Romeno[7], ritrattista alla corte imperiale viennese. La pala fu eseguita nel 1775, anch’essa su commissione della famiglia de Gentili (lo stemma di questa famiglia nobile è dipinto sulla dalmatica rossa di S. Sisinio). Rappresenta i Martiri Anauniensi in gloria, raffigurati con la palma del martirio in mano e secondo i loro simboli iconografici classici (il calice, il libro e le chiavi). Sopra i tre Martiri, tre angeli recano le corone del martirio. Nella parte più alta, il pittore ha inglobato nella sua tela un quadro a lui precedente e originariamente collocato presso un altro altare, raffigurante la Madonna del Buon Consiglio, sul modello della celebre immagine venerata a Genazzano, presso Roma[8].

Prima di lasciare il presbiterio, rimane da alzare lo sguardo verso il soffitto. Nei punti di congiunzione dei costoloni della volta dell’abside, a circa 13 metri d’altezza, sono fissate sei chiavi di volta rotonde, scolpite a bassorilievo e dipinte, realizzate, con molta probabilità, all’epoca dei lavori promossi dall’Hinderbach, dopo il 1472. Quattro bassorilievi rappresentano gli Evangelisti e sono posizionati in modo da formare un quadrilatero; al centro, spostate verso la navata, le altre due chiavi scolpite con l’immagine di due dei martiri. Probabilmente era prevista anche la figura del terzo martire che non è stata realizzata o forse è caduta. Tutti i personaggi sono ritratti a mezzobusto e tengono fra le mani un cartiglio che ne permette l’identificazione. Il rilievo posizionato verso la navata raffigura S. Sisinio, con i capelli radi e barba grigia riccioluta. Tiene con la mano destra una chiave e con la sinistra un libro (a dire il vero segni identificativi piuttosto rispettivamente di S. Alessandro e S. Martirio). Alessandro è invece rappresentato molto giovane, con i capelli biondi, ondulati e lunghi; oltre al libro porta la palma del martirio.


La cappella dei Santi Martiri

Nella navata destra si apre quella che è probabilmente il “cuore” della Basilica, e cioè la cappella dei Martiri. È un luogo venerando, che fa parte della chiesa precedente all’attuale. Vi si raccoglie la storia di quasi sedici secoli. A seguito di interventi eseguiti dopo il 1927, quando qui si trovava la vecchia sacrestia, la cappella si presenta con una facciata di pietra a tre archi, e una cancellata di ferro battuto. Nel sottosuolo, tanto all’interno che all’esterno del piccolo locale, furono scoperte varie tombe di epoca romana, forse paleocristiana: il che non solo fa arguire dell’antichità dell’ambiente, ma induce a supporre che fino dalle origini esso godesse di particolari ragioni di venerazione e di culto, tanto da far desiderare ai fedeli di esservi sepolti nelle vicinanza.

Questa cappella conserva infatti vaste tracce monumentali di cristianità. Nel 1918, per casuale scrostamento, apparvero sulla parete di sinistra tracce di un affresco del secolo XII circa, poi ripulito dal restauratore Volturno Brizi. Esso è importantissimo, perché con certezza un avanzo dell’antica basilica[9].

L’insieme dell’affresco è diviso in due registri. In quello superiore è rappresentato il serpente di bronzo attorcigliato alla croce, fra Mosè e Aronne. Questi accenna al serpente, mentre Mosè tiene nella destra una verga, e nella sinistra un filatterio sul quale si legge: «Sicut exaltavit Moyses serpentem in deserto ita exaltari oportet Filius hominis»[10]. A sinistra di Mosè è genuflessa la figura del sacerdote offerente e, accanto, il suo nome: Benochord.

Nel registro inferiore sono rappresentati sette apostoli, isolati mediante colonnette tortili, alcuni dei qualiCappella - Icona dei Santi Martiri - Sanzeno riconoscibili dai nomi: S. Giacomo, S. Giovanni, S. Simone, un apostolo ignoto, S. Paolo, S. Andrea, tutti con la destra al petto e barbuti, meno S. Giovanni. Più in basso, entro dischi sono raffigurati i simboli dei mesi, purtroppo ormai quasi illeggibili.

Sulla parente di fondo, in continuazione alle precedenti, vennero poi alla luce altre figure di santi: in alto i patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe, che accolgono le anime dei giusti; nel piano altri tre apostoli (i primi due sono indicati esplicitamente: Taddeo e Bartolomeo) e, infine, i santi Lorenzo e Nicolò. Altre tracce con iscrizioni sono visibili accanto[11].

Colpisce il gioco di rimando tra il tempo dell’Antico Testamento (Mosè, Aronne e i patriarchi), quello del Nuovo Testamento (gli apostoli), il tempo della Chiesa (S. Lorenzo e S. Nicolò) e il tempo “profano”, il nostro (i mesi dell’anno, dodici come i dodici apostoli), come se tutto fosse, appunto, ugualmente “tempo di salvezza”, da cui nessuno è escluso.

Al centro della cappella, l’arca in pietra rossa di Trento fatta costruire nel 1472 dal vescovo Giovanni Hinderbach per custodire i resti del rogo, fortunosamente ritrovati sotto l’antico altare (forse, stando ad alcune testimonianze, una sorta di mini cripta, una cella posta sotto l’altare, la cui mensa era sorretta da colonnine romaniche, le stesse che tutt’ora sorreggono l’arca hinderbachiana)[12], e che, come già abbiamo detto, è “giunta” qui dopo aver cambiato per ben due volte posto[13]. All’interno dell’arca, stando ai verbali dell’ultima ricognizione fatta nel 1895, vi è una cassa di cm. 116 x 50 x 52, piena di terriccio mescolato con carboni e cenere. Ricordiamo che nella tradizione dei primi secoli della Chiesa, il concetto di “reliquia” era più ampio di quello che noi ai nostri giorni pensiamo (reliquia era anche ciò che “toccava” la tomba di un santo, per esempio).

Apostoli

Probabilmente però, ciò che in origine era stato ritrovato sotto l’antico altare assomigliava piuttosto a ciò che venne trovato nell’agosto del 1876 a monte del paese di Sanzeno, mentre si demoliva un’edicola dedicata a S. Maria Maddalena. Sotto una grande lastra di pietra venne alla luce uno spazio che pare facesse parte dei ruderi di una chiesetta antichissima, nel quale si trovò un piccolo sarcofago di pietra (cm. 14 x 20 x 10) che conteneva a sua volta una “capsella” d’argento (cm 5 x 25) che custodiva reliquie, purtroppo per noi, innominate di sangue, cenere e tre frammenti di stoffa[14].

FonteAccanto all’urna dei Martiri è il vecchio fonte battesimale, pietra calcare rossa del XVII secolo, opportunamente e significativamente qui collocato, dov’è la “memoria” dei primi evangelizzatori di queste terre.

Di recente realizzazione (1990) l’icona che rappresenta l’apostolato, il martirio e la glorificazione dei Ss. Martiri. È opera di Fabio Nones di Trento, su tavola di rovere di slavonia, e realizzata secondo gli antichi canoni iconografici.



L’organo

Avviandosi ora verso l’uscita dalla Basilica, rimane solo da osservare, sopra il portale d’ingresso, un’ampia loggia, costruita nel 1756, e fatta dipingere nel 1761 da mons. Giuseppe de Concini da Casez, canonico della chiesa metropolitana di Vienna (a sinistra di chi guarda: storie dei tre Martiri; Davide che suona l’arpa; a destra: S. Cecilia che suona l’organo; S. Vigilio e S. Romedio). La loggia accoglie l’organo, opera pregiatissima dell’organaro Innocenzo Cavazzani di Avio, costruito nel 1792 e tutt’ora funzionante.

Le canne dell’organo fanno da cornice al grande e splendido rosone, opera dell’architetto Giacomo Mookadoha, mentre la vetrata policroma, con al centro lo stemma della famiglia de Concini, è opera di Giuseppe Parisi (1960).



I reliquiari

La Basilica conserva, tra gli altri, due preziosi reliquiari. Nel primo sono contenute le ceneri del rogo dei Martiri, tra cui sono riscontrabili alcuni piccoli frammenti di ossa calcificate, estratte nel 1897 dall’antica cassa di legno che si conserva nell’urna marmorea. Contiene anche un cartiglio che recita: «Sanctorum Martyrum Sisinii, Martyrii et Alexandri Cineres Sancti, ex pervetusta arca lignea quae in Urna marmorea asservantur de licentia C. Epis. extracti, die 6 sept. 1897».

Un’altra più grande urna contiene invece alcune costole piccole, bruciacchiate, provenienti dalla Basilica milanese di S. Simpliciano, e donate alla Basilica di Sanzeno nel 1927.

Chiesa di S. Alessandro Chiesa di Santa Maria

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